La furia del mondo

A questo romanzo, edito da Feltrinelli nell'aprile 2006, l'autore (per sua dichiarazione) cominciò a pensare fin dal 1997, subito dopo la pubblicazione de Il talento. Per diversi anni quindi, mentre riprendeva e ultimava la lunga stesura di Una crociera e lavorava alle Lettere d'uomini oscuri, De Marchi andò precisando questo nuovo progetto e si dedicò alle letture preparatorie che esso richiedeva. Si tratta infatti di un romanzo, se non storico (definizione che sembra spiacere all'autore), certo di ambientazione storica. L'azione si svolge nel piccolo principato tedesco di Hohenlohe, ai confini dell'allora ducato di Württemberg, alla fine del Settecento. Dopo un prologo di stile tradizionale in cui viene raccontata la leggenda medievale della costruzione della chiesa nel villaggio di Kirchensall, il romanzo si concentra sulla famiglia contadina in cui il piccolo Abel cresce, gracile e inadatto al lavoro dei campi, ma dotato di una sensibilità e un'intelligenza non comuni. L'angusto mondo circostante gli si apre gradualmente, e colpisce l'abilità con cui il narratore riesce a far sì che il lettore veda i fatti narrati con gli occhi del suo piccolo personaggio.
     Il romanzo si fa più articolato con l'ingresso in scena del secondo personaggio principale, il parroco evangelico Rupprecht Radebach. Questi, dopo avere in un primo momento temuto che Abel soffra della «debolezza mentale» da lui spesso riscontrata «nei figli denutriti di famiglie povere», si accorge invece del contrario: e da allora preparargli un futuro migliore diventa il senso della sua vita.
     Personaggio chiave della vicenda, Radebach non è sempre vissuto nel villaggio, né è sempre stato evangelico: si è lasciato alle spalle una brillante carriera nella gerarchia cattolica e nove anni di vita a Roma, da dove è partito quasi all'improvviso dopo una storia d'amore e conversione che è un romanzo nel romanzo (capp. 4-6). La vicenda vera e propria ha inizio quando Radebach chiede ai genitori di Abel di potergli impartire lezioni al di fuori della scuola. Il piccolo studio della casa parrocchiale diventa così, nonostante il suo isolamento materiale, un incredibile osservatorio del mondo. Attraverso gli occhi e la mente del ragazzino passano favole e libretti popolari, i primi romanzi, le prime poesie, la lingua latina e l'italiana, e poi nelle lezioni e conversazioni pomeridiane col suo maestro cominciano a entrare le civiltà, le religioni e soprattutto le «epidemie di ferocia» della storia europea: quelle che Abel più tardi, in un tentativo poetico, chiamerà «la furia del mondo». Quasi a fare da contrappunto al ricordo di esse vengono con sempre maggiore insistenza in primo piano la vita contadina dell'epoca, la lotta per la sopravvivenza materiale, le sventure naturali e umane.
     Si ha l'impressione che l'autore senta il bisogno di tornare a raccontare i fatti più sconvolgenti, collettivi come le guerre, individuali come la sorte di Giordano Bruno o di Jud Süss, quasi a sottolineare che non può esistere progresso senza memoria degli errori e degli orrori del passato. L'orrore entra anche nella famiglia di Abel e finisce per travolgere, con alcuni dei tanti personaggi di contorno, anche i due principali. Eppure crediamo di veder affiorare a più riprese nella filigrana del racconto qualcosa come una fiducia nella possibile bontà dell'uomo, che si esprime nei sentimenti amorosi, nella poesia e nella musica (una pagina memorabile del romanzo è dedicata a una fuga di Bach), e anche nel sentimento religioso, in cui il non religioso autore vede evidentemente una delle strategie, forse la più importante, usate dagli uomini per dare una spiegazione e porre riparo alle proprie sofferenze.
     Anche in questo romanzo l'autore si serve di quella che sembra ormai la sua cifra stilistica, il discorso indiretto libero, che qui viene sdoppiato tra i due personaggi principali, Abel e Rupprecht, con gli occhi e i pensieri dei quali l'intera vicenda è narrata. La frase assume di volta in volta l'andamento rotto dell'ansia, quello circolare dell'ossessione, quello disteso della serenità; ci sembra (rispetto a opere precedenti) guadagnare qui in semplicità e concisione, l'espressione farsi più diretta, l'aggettivazione più scarna, l'effetto complessivo più drammatico. Il discorso indiretto libero cede solo a tratti a moduli narrativi diversi: a parte il prologo (di cui si è già detto), vi sono lettere o frammenti di lettera di Radebach, nei quali è visibile lo scrupolo di avvicinarsi alla lingua del Settecento, e dialoghi in cui la lingua è invece modellata sull'ambiente: come nelle gustose scene studentesche dei capitoli 20 e 21, quando Abel viene ammesso al Gymnasium Illustre di Öhringen, poco prima della tragica fine della vicenda.
     Ma l'elemento forse più affascinante di questo romanzo è il suo muoversi «tra due realtà», la tedesca e l'italiana, come l'autore ha spiegato in un discorso tenuto nel gennaio 2004 a Norimberga, mentre ancora lavorava al romanzo.

© 2019 Cesare De Marchi

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