saggi - testo 8

Balzac è romanziere assoluto, è romanziere prima che realista: il processo di riproduzione della realtà o di sue parti è in lui sempre sottoposto alle esigenze e agli intenti del narratore; e per lui sarebbe più esatto parlare, non di realismo, ma di forzatura romanzesca della realtà; ciò vale sicuramente delle scene ad effetto or ora analizzate, in cui è innegabile l'esasperazione di elementi della trama; ma un'altrettale esasperazione è anche nei caratteri, nei gesti, nelle fisionomie: non è necessario pensare alle «fiamme d'inferno» riverberanti sul volto di Vautrin, basta prendere, proprio nella descrizione d'apertura del romanzo, le «bocche vizze» e i «denti avidi» dei pensionanti: dettagli feroci e deformanti, non realistici; come non è realistico il gesto di Grandet morente, che cerca di ghermire il crocifisso d'argento dorato che il prete gli porge da baciare. Quanto radicata fosse in Balzac questa tendenza all'iperbolico, lo mostra già una frase della prima pagina del nostro romanzo, che potrebbe considerarsi una dichiarazione di poetica: «solo qualcosa di esorbitante può produrvi una sensazione qualche poco durevole».
     Anche di questo Baudelaire si era già accorto: «tutti gli attori della sua Commedia sono più avidi di vita, più attivi e scaltri nella lotta, più pazienti nella sventura, più ingordi nel godimento, più angelici nella dedizione, di quel che ce li presenti la commedia del vero mondo». Ortega y Gasset l'ha ripetuto con maggiore severità, in uno degli scritti più belli che io conosca sul romanzo: «Il nostro apparato oculare, abituato a spettacoli più esatti ed autentici, scopre all'istante il carattere convenzionale, falso, di à peu près, che domina il mondo della Commedia umana». La cosa apparirà tanto più vera quando dai romanzi di ambientazione sociale contemporanea (e in tal senso particolare «realistici») si passi ai racconti più scopertamente romantici: dal celebre Chef-d'oeuvre inconnu all'indecoroso Élixir de longue vie, da Facino Cane a Maître Cornélius, dalla Fille aux yeux d'or (che fa pur sempre parte delle «scene di vita parigina») allo stesso Sarrasine, reso illustre dall'ingegnosa variazione sul tema di Roland Barthes.


(Un visionario appassionato, introduzione a Il padre Goriot, Feltrinelli, Milano 2004, pp. xv-xvi © Feltrinelli s.p.a.)

© 2019 Cesare De Marchi

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